Storia

La Comunità pastorale di Cantù centro, denominata San Vincenzo con riferimento alla Basilica di Galliano, prima chiesa in Cantù, è stata costituita nel settembre del 2006 per volontà dell’allora Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi. Alla sua nascita la comunità comprendeva le quattro realtà parrocchiali canturine di San Paolo, San Michele, San Teodoro e San Carlo, alle quali, nel settembre 2011, viene aggiunta la comunità di San Leonardo nel comune di Intimiano. Il primo sacerdote responsabile è stato Don Giuseppe Longhi e con lui, allora, si è scelta la denominazione di “Comunità pastorale” per indicare un progetto forte di comunione e di condivisione tra le parrocchie coinvolte, che hanno una cura pastorale unitaria e sono chiamate a un cammino unitario e coordinato.

Per comprendere in modo adeguato la storia del formarsi della nostra comunità pastorale è opportuno partire da alcune precisazioni. E’ facile collocare la parrocchia, la Chiesa tra una delle tante istituzioni all’interno della città, è inevitabile perché gli edifici stessi invitano a pensare in questo modo, e, per di più, c’è una lunga storia che ci precede.

Il punto di svolta si ha col Concilio Vaticano II che si interroga sulla Chiesa collocata nel mondo attuale, già allora visto come globale (cattolico=universale). Innanzitutto afferma l’ “Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana.” “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Ed in questa logica parla della Chiesa come popolo di Dio, immerso come sale, lievito, luce, seme, piccolo gregge, …  nella storia e nella quotidianità di tutte le genti perché “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità”.

Un altro passo importante si compie nel 47° Sinodo Diocesano (1/02/1995). Nella lettera di presentazione il Cardinal Martini sottolinea “lo sforzo di verificare il nostro volto di Chiesa sullo sfondo delle sfide contemporanee”  ma coglie pure  “un senso di disagio”  perché  “ancora troppo poco abbiamo fissato lo sguardo nel volto di Lui. …  Si tratta di capire di quale tipo è la nostra forza e la nostra vittoria nel periodo presente della storia di questo mondo. Si tratta di capire, contemplando il volto dell’uomo dei dolori, … che il nostro volto non potrà essere diverso dal Suo; che la nostra debolezza sarà forza e vittoria se sarà la ripresentazione del mistero della debolezza, dell’umiltà e della mitezza del nostro Dio.” E ciò perché “la Chiesa dipende totalmente dalla Parola del Signore”, è “creatura di questa Parola”.   In questo contesto il Sinodo riafferma la funzione delle comunità parrocchiali “La parrocchia deve continuare ad essere, anche nelle mutate condizioni socio-civili, la forma principale di presenza della missione della Chiesa per la vita della gente.” “La parrocchia, infatti, è la comunità dei fedeli che rende visibile la missione della Chiesa in un determinato territorio. …. Nell’avvertire tale responsabilità, superando una pastorale di pura ripetizione e conservazione, la parrocchia promuova una pastorale dinamica e aperta a recepire le istanze dell’evangelizzazione (l’Evangelo, la Parola che crea la Chiesa) anche sul territorio, rendendosi attenta a quanti vivono la fatica, l’indifferenza, la distanza o il rifiuto della fede cristiana. Nello stesso tempo coltivi uno stile di accoglienza e di dialogo con quanti provengono da altre culture o credenze religiose …”   Ed, infine, il Sinodo per adeguare la vita della chiesa ambrosiana ai nuovi tempi propone le comunità pastorali, forme di unità pastorale.

Ancora oggi papa Francesco riconosce il valore evangelizzatrice della parrocchia nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. … Continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. …. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario.”

Questo ”portale” (sito) della nostra Comunità pastorale ha l’ambizione di inserirsi in questa storia e di facilitare concretamente due obiettivi. 1) Mettere a disposizione di chi già opera (sacerdoti, religiosi, laici, oratori, gruppi vari…) uno strumento adeguato per comunicare tutti gli eventi che fanno parte ordinariamente della vita dei fedeli: gli orari delle messe, le liturgie, le catechesi, le attività degli oratori, dei vari gruppi e associazioni, gli eventi culturali, ecc….

2) Comunicare maggiormente con la città per confrontarci e collaborare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per incentivare buone relazioni, una buona convivenza. Per rendere leggibile e presente la “Buona Notizia” che Dio ci ama davvero, tutti e ciascuno. Per tirarci fuori dal non senso, dalla frustrazione e dalla noia, dalla disperazione, dal disgusto della vita, dalla incapacità di amare, dalla paura del dolore e della morte. Per dare risposta alle invocazioni più profonde di ogni coscienza umana.

Noi, non per nostri meriti, ”chiamati” (ecclesia=chiesa=chiamati), noi parrocchiani (= vicini di casa) oggi e qui, ci assumiamo la responsabilità di custodire l’immagine di Dio, non quella che ci inventiamo o descriviamo noi, ma il volto del Padre misericordioso che Gesù di Nazareth ci ha fatto conoscere. Non possiamo essere spaventati ed impauriti oltremisura dai tempi odierni, che corrono velocemente, globalizzati e digitali, che frantumano le nostre certezze e tradizioni.  Non possiamo essere tentati di costruire città o società perfette, o attendere qualcuno che lo faccia per noi. Siamo uomini e donne, in cammino, generati ed eredi, generanti responsabili che condividono e tramandano la vita, sempre in relazione, sempre vicini e soli. Fratelli e sorelle, padri e madri, figli, nel popolo di Dio in cammino. Possiamo diventare prigionieri (=cattivi) del male, della violenza, dell’ingiustizia, oppure essere costruttori di pace, di buona vicinanza, di gioie condivise, di bellezza.  “Volete andarvene anche voi?” … “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.” (Gv 6,67)