Lo scorso 15 aprile si è svolto il Convegno sul volontariato, rivolto in specifico ad associazioni di volontariato, assistenti spirituali, sacerdoti, religiosi e laici, dal titolo “La vita è bella, non perché tu hai, ma perché tu dai”, promosso dal Servizio diocesano per la Pastorale della Salute e introdotto dall’Arcivescovo mons. Delpini.
L’Arcivescovo ha sottolineato tre frasi, per dire la bellezza di una vita donata. La prima è: “La terra è piena della gloria di Dio”, perché, considerando il volontariato e quanti vivono la loro professionalità come dedizione, veniamo confermati nella persuasione che la terra è davvero piena della gloria di Dio. E questo nonostante i luoghi comuni, le indagini e le statistiche che sembrano fatte per deprimerci e per dire che la terra è piena di altre cose come l’egoismo, l’individualismo, le malattie, le sconfitte dell’umanità. Una gloria che, al contrario esiste e si rende visibile mai come ora, con i volontari e tutti gli operatori che ne sono la testimonianza viva. La gloria di Dio è l’amore che rende capaci di amare, è l’inclinazione degli uomini e delle donne ad amare perché sono stati amati, perché c’è un amore che li ha creati, e quindi si potrebbe dire che la gratuità è frutto della gratitudine. Come a dire, gratuitamente ho ricevuto, gratuitamente dono.
La seconda frase è «il dovere di rispondere a una promessa». Quando noi diciamo “devo”, ciò può venire dal fatto che c’è un precetto, un ordine, qualcosa che – legittimamente o meno – comunque ci viene imposto, anche se per una giusta regolamentazione. Ma è chiaro che il dovere che sente il volontario o chi si occupa degli altri con generosità è ben altro. Questo dovere non nasce da una normativa imposta, sanzionata con la minaccia di una punizione, nasce invece da una promessa che fa nascere, a sua volta, un desiderio. Quello che fa diventare donne e uomini migliori, che possono essere fieri di sé anche, magari, solo donando un sorriso, accarezzando un anziano, stringendo la mano una persona che si sentiva sola, che doveva affrontare un momento drammatico, un intervento chirurgico, un ricovero difficile. Perciò questo dovere nasce perché si risponde volentieri, liberamente, a una promessa. Soltanto così si arriva a una gioia vera, libera e duratura: perché si serve, perché si dona agli altri.
Infine, la terza parola, la vocazione. Le sofferenze degli altri, le ferite del Pianeta, sono una voce che chiama. Per questo la nostra vocazione è risposta a tale soffrire che, talvolta, si presenta sotto i nostri occhi in modo drammatico. È chiaro che la figura del buon samaritano – che papa Francesco ha commentato nella sua Enciclica “Fratelli tutti” – sia proprio il modello a cui ispirarsi. L’altro è un fratello che conosce il mio nome, che sa che io ho un cuore misericordioso, perciò può aspettarsi un soccorso, una forma di premurosa attenzione e aiuto.