LA TRATTA DEGLI ESSERI UMANI C’È ANCORA!
Lunedì scorso, nella memoria di S. Giuseppina Bakhita, si è celebrata la 7ª Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani. La data non è stata scelta a caso dai promotori. Infatti la santa stessa conobbe i mercanti di schiavi. Fu rapita da piccola in Sudan, nel centro dell’Africa, dove nacque attorno al 1868. Lei stessa ci racconta: “Avevo nove anni circa, quando un mattino…andai… a passeggio nei nostri campi… Ad un tratto [sbucano] da una siepe due brutti stranieri armati… Uno… estrae un grosso coltello dalla cintura, me lo punta sul fianco e con una voce imperiosa dice: “Se gridi, sei morta, avanti seguici!””. Fu venduta più volte conoscendo sofferenze fisiche e morali che la lasciarono senza identità. Furono i suoi rapitori a darle, forse per derisione, il nome di Bakhita, che significa “fortunata”. “Fortunata” lo fu davvero perché a 16 anni venne comprata dal console italiano di Khartum “padrone assai buono” con il quale venne in Italia nel 1885. La giovane venne da lui “regalata” ad una coppia di amici di Mirano Veneto, dove divenne bambinaia di famiglia. In seguito accompagnò la loro figlia Alice presso il monastero delle Canossiane a Venezia. Lì si fermò, conobbe la fede cristiana, ricevette il battesimo e si fece religiosa, svolgendo le sue umili mansioni a Schio e, per un certo tempo, anche a Vimercate. La chiamavano “madre Moretta” e aveva avuto l’occasione di dire: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa…”. Morì l’8 febbraio 1947 e fu canonizzata nel 2000. L’Osservatore romano di qualche giorno fa (11/02/21) ha riportato le storie di alcune donne che hanno subito la stessa sorte di Bakhita, ma ai nostri giorni. Storie drammatiche, a volte tragiche, ma comuni a tante persone che ora hanno trovato accoglienza in Italia. Ecco, qui sotto, il racconto di una di loro raccolto dal giornalista Roberto Rotondo.