Pagina Iniz. 2020 Maggio SOLIDALI NELLA SOFFERENZA

SOLIDALI NELLA SOFFERENZA

SOLIDALI NELLA SOFFERENZA

Insieme a molti altri ho attraversato l’esperienza del COVID19 o se vogliamo del Coronavirus, che per qualcuno è diventato il “carognavirus”. Premetto che questa esperienza viene vissuta in modo molto personale da chi si è trovato a doverla affrontare, quindi i pensieri, le aspettative, le riflessioni, la paura che ha generato, cambiano da persona a persona. Quello che descrivo, diventa quindi solo quello che personalmente ho provato. Il tempo del COVID 19 è quello in cui si sperimenta la propria debolezza; in pochi giorni, da una situazione di normalità, di autosufficienza, di coscienza di poter fare tutto ciò che si desidera e si vuole, si arriva ad affidare completamente la propria vita nelle mani di altri, ad essere pazienti, ad esercitare la pazienza. Con la testa racchiusa in uno “scafandro” di plastica, bloccato in posizione seduta su di una barella 24 ore su 24, con il rumore continuo dell’ossigeno che entrava e dava un utile supporto a liberare i polmoni, non si poteva certamente variare a piacimento la propria giornata. La concentrazione era data tutta a regolare il proprio respiro per trarne i maggiori benefici, respirando solamente dal naso perché dalla bocca si provocava rapidamente l’essicamento della gola e la situazione diventava difficilmente sopportabile. Associata inscindibilmente al respiro era la preghiera: un’unica azione possibile regolata dalla propria volontà; la preghiera si fondeva con il respiro, il respiro modulava la preghiera; l’Ave Maria diventava un intercalare di inspirazioni ed espirazioni. Questo affidare la propria vita a tutti i medici, infermieri, operatori sanitari, OSS e affidare con la preghiera la vita dei propri cari rimasti a casa, dei compagni di camera, di tutti i sofferenti a Maria, fa percepire prepotentemente la nostra debolezza, la nostra completa dipendenza dagli altri e da Lui, costringendoci ad un salutare bisogno di umiltà. Il tempo di COVID19 è tempo di vicinanza alla sofferenza personale e degli altri. La prima sofferenza è la lontananza dai propri cari, che diventa via via più intensa man mano che il tempo passa: 44 giorni di separazione sono pesanti da sopportare, sia per i familiari che per chi è degente. Il cellulare, in questi casi, diventa lo strumento che aiuta, almeno in parte, a ristabilire dei rapporti di vicinanza. La seconda sofferenza è quella vissuta da chi ti sta accanto; non si può restare indifferenti quando il vicino di letto, con problemi di diabete, la cui gestione aggravata dal COVID diventa estremamente problematica, mal sopporta la mascherina dell’ossigeno. Col passare dei giorni la sua situazione si va aggravando, insorgono complicazioni cardiache, perdita di consapevolezza di sé, fino ad arrivare ad un crollo. Conseguenza di ciò è l’immediato trasferimento in rianimazione. L’unica azione che ci è data è passare il resto della notte a pregare per uno sconosciuto, di cui a malapena si conosce il nome e la provenienza, ma che in questo caso diventa un nostro fratello in situazione di debolezza. Questa esperienza, durante la fase di ospedalizzazione, purtroppo non è l’unica, ho intercettato altri casi problematici che ricalcavano le stesse modalità di lento declino della fase iniziale e prevedevano lo stesso epilogo. Questo ci porta ancora una volta ad essere solidali alle sofferenze altrui, ad affidare a Maria, che tanto ha sofferto ed è stata compartecipe dei dolori patiti dal Figlio, questi nostri fratelli, questi compagni di strada incontrati sulla via che va da Gerusalemme a Gerico e lasciati dal “brigante” sul ciglio della strada. Per fortuna sono passati di là tanti “samaritani”. Dario

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