ANNO SANTO: RISCOPRIRE CHI SIAMO
Per fortuna che c’è il Giubileo. Per fortuna che c’è l’Anno Santo. Per fortuna che ci è dato un tempo e uno spazio per riprendere il fiato… Per fortuna che c’è il Giubileo per ricordarci che siamo uomini e donne, non macchine. Anzi siamo molto ma molto di più, anche se i nostri ragionamenti e persino il nostro linguaggio sembrano ingannarci.
“Sono esaurito”. “Ho bisogno di staccare la spina”. “Devo ricaricarmi”: espressioni d’uso quotidiano e comune a tutti noi, che tradiscono la fatica di pensarci come persone perché è più facile e meno faticoso paragonarci a delle macchine. Persino il nostro linguaggio ci tradisce nel descrivere le relazioni, il nostro crescere e maturare: “ci aggiorniamo”, “siamo -oppure non siamo- compatibili”, “ci interfacciamo”. È il nuovo linguaggio tecnologico che spesso, senza accorgerci, usiamo abbondantemente; abbiamo affidato al mondo delle macchine il nostro essere umani, perché l’umano, così com’è, ormai ci sembra una versione superata del vivere. Infatti, spesso nel nostro linguaggio quelli dell’“ultima generazione” non indica più i nuovi nati, ma i nuovi telefoni o i computer.
Eppure, noi non siamo macchine; infatti, noi non stacchiamo la spina, ma ci riposiamo come i campi per dare frutto; noi non ci ricarichiamo, ma rinforziamo i legami attingendo energia non dalla rete elettrica, ma da rapporti profondi con la vita, con noi stessi, con Dio, con i fratelli; noi non ci esauriamo come batterie, ma come torrenti d’acqua che per fluire hanno continuamente bisogno di attingere alla “Sorgente”. Scivolando sull’onda della cultura tecnologica che impone di essere sempre all’avanguardia, abbiamo smesso di essere naturali e soprattutto umani; abbiamo scelto: macchina tu dici, macchina diventi. Ma noi siamo uomini e donne, siamo persone, siamo esseri spirituali!
L’intelligenza artificiale e i robot ci sostituiscono: il frullatore frulla, la lavatrice lava, il calcolatore calcola. E l’umano.. come “umana”, cioè come vive la sua umanità? Sente e sa di essere vivo perché sente e sa che morirà: siamo un limite aperto all’oltre, libero, creativo; siamo tempo incarnato, respiro e desiderio, sangue e sogno, destino e destinazione. Eppure, guardiamo alla macchina con invidia: non sente, né sa di sé, non deve scegliere né morire. Funzionare ci rende più sicuri ma non felici, perché “essere umani” non significa funzionare al meglio senza intoppi e con la massima efficienza, ma diventare. Diventare chi? Diventare noi stessi! E chi siamo noi stessi? Chi sono io? Chi sto diventando? A cosa sono chiamato?
Inoltre, al “diventare ciò che siamo” preferiamo “l’essere programmati” e programmare tutto: è più sicuro e alleggerisce il peso della libertà. Però prima o poi ci rompiamo come telefoni che, a forza di “ultimi aggiornamenti”, non reggono più il “programma” divenuto troppo “pesante”.
“Diventa ciò che sei”, “Conosci te stesso”. Coltiva la speranza di una vita nella sua bellezza e pienezza, non solo nella sua efficienza programmata, calcolata. Aspira a superare una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a banalità. Lasciati guidare con docilità dallo Spirito del Signore perché tutto cooperi al bene di coloro che amano Dio e in ogni situazione aiuta a riconoscere l’occasione per amare. Smetti di essere stanco di una vita senza senso, che è vista come un ineludibile andare verso la morte. Coltiva il desiderio di un “oltre” che dà senso al presente e riempie di significato il futuro. Dedicati alla cura di una vita spirituale, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. Considera ogni istate come un “kairos” un’occasione propizia, un momento opportuno di grazia, un dono della benevolenza di Dio da non sciupare. Insomma, riscopriti Figlio dell’Altissimo che è Padre e che chiama a partecipare della sua vita la tua stessa vita riconciliata con lui, amata da lui, proiettata verso l’eternità e la comunione.
Il messaggio cristiano suggerisce un orizzonte ampio, alto e profondo. L’uomo è sì mortale, “chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” Mt 6,27 chiede Cristo, che abbraccia questa condizione morendo anche lui, ma rivela che l’uomo è di più: è figlio, figlio del Dio della vita e della cura della vita, “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete” Lc 12,7. L’uomo non è fatto di morte ma di filiazione. La forma piena dell’umano non è diventare immortale, ma figlio: “a quanti l’hanno accolto [il Figlio] ha dato il potere di diventare figli di Dio” Gv 1,12. Essere figlio significa sentirsi voluti nella vita ora e sempre: non mi sono dato la vita e questo mi mette in condizione di scoprire se la vita viene dal nulla o da un amore che mi vuole esistente, ora e dopo la morte. La relazione con questo amore è via per la forma umana più compiuta. Non si tratta quindi di diventare immortali, privilegio di pochi, ma “filiali”, possibile a tutti: rafforzare l’appartenenza alla vita e unire gli uomini.
Il messaggio cristiano “forma” l’uomo-figlio, che accetta relazionalmente la vita ed è chiamato a moltiplicarla con i propri talenti in favore degli altri. È divino ciò che diventa figlio e rende fratelli. La cultura oggi dominante, invece, “forma” l’uomo-potenza, lo spinge a funzionare, a programmarsi, ad avere successo.
Per fortuna che c’è il Giubileo. Per fortuna che c’è l’Anno Santo che mi richiama a un destino più alto e a vivere tutte le sue iniziative come occasione per stare alla presenza del Signore e diventare ciò che sono: suo figlio, figlio di Dio, vero uomo, vera donna, secondo il suo disegno di amore. Per fortuna che c’è il Giubileo che mi invita a ritrovare me stesso, ritrovandomi in Dio.
Mentre ancora mi arrovello nei miei pensieri, nelle mie preoccupazioni, nelle molteplici attività da programmare e da inserire in agenda; mentre registro l’accumularsi dei problemi, dei disastri che affliggono i giorni e i comportamenti incomprensibili e le situazioni sconcertanti che mi affaticano e stancano, ringrazio Dio per le piccole e grandi gioie quotidiane che la sua bontà non fa mancare. E la memoria di tutto questo non mi servirà certo a risolvere nessun problema, ma a sapere che sono vivo e da vivo sono già amato per l’eternità. Per fortuna che c’è il Giubileo. don Maurizio.