CARITAS CHRISTI URGET NOS
IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE È IL FONDAMENTO DI QUEL «L’AVETE FATTO A ME»
L’occasione della GIORNATA DIOCESANA CARITAS mi dà l’occasione di riprendere la riflessione già avviata lo scorso anno sulle ragioni dell’impegno cristiano nelle diverse situazioni di solidarietà e carità. È importante ribadire che la carità cristiana non è solo ed esclusivamente solidarietà sociale. È principalmente la Carità di Cristo che spinge i credenti ad aiutare il prossimo: qualsiasi altro scopo o interesse non può che ancorarsi a questo principio e fondamento!
È vero, dobbiamo onestamente riconoscerlo: oltre a quella individuale e credente, c’è anche una coscienza sociale e collettiva, ugualmente attraversata da emozioni, desideri e volontà di impegno solidale a fare del bene, all’altruismo. Si tratta di riconoscere la bontà sincera di questa coscienza collettiva ma al tempo stesso di costruire percorsi che promuovano una evoluzione della cultura e della mentalità nella direzione delle esigenze della “carità”. Di fatto si pone la questione, non solo linguistica, della differenza – se c’è differenza – tra “fare del bene” e “fare la carità”. A riguardo, mi sembra che il compito primario della Chiesa sia quello di una ricostituzione pratica di evidenze morali comuni, superando quei processi della cultura contemporanea che invece frantumano la coscienza etica e danno a ciascuno di farsi la sua morale, il suo benessere, il suo interesse, e anche, se mai, la propria forma di gratificazione caritativa.
Per noi cristiani l’insegnamento evangelico è inequivocabile e inderogabile e, da un certo punto di vista, persino rivoluzionario capovolgendo ogni nostra presunta motivazione o almeno riconducendola alla sua vera intenzione che ne costituisce la ragione e persino il metodo. La spinta altruista, buonista e moralista del dover fare del bene, trova in quel “l’avete fatto a me” della famosa pagina evangelica, chiamata del “giudizio finale” di Matteo 25, il suo superamento e il suo specifico cristiano. In quel discriminante “mi”: «mi avete dato da mangiare, mi avete dato da bere, mi siete venuti a trovare, …» è richiamato il principio fondamentale per cui l’azione caritativa anche minima e apparentemente insignificante – dare un bicchiere d’acqua fresca (Mt 10,42 e ancora più chiaramente Mc 9,41) – è compiuta nei confronti di Cristo stesso che si identifica non tanto nel bisogno ma nella persona che ha bisogno e in qualunque persona in necessità. La questione non è più solo sociale o di welfare, ma personale e di dignità della persona.
La memoria evangelica: «…Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40) e quell’impressionante forte sottolineatura dell’”avete fatto a me”, colloca nella giusta direzione le nostre certamente buone ragioni – fare del bene, dedicare tempo agli altri… -, ma rimettendo al centro la persona con tutta la dignità a lei dovuta in quanto persona, e in più, per noi cristiani, in quanto figlio di Dio e fratello in Cristo.
L’identificazione che Gesù stesso pone è paradigmatica, assoluta e pertanto normativa. Da questo punto di vista è interessante e curioso come l’interpretazione cristiana del famoso gesto di san Martino, col taglio del suo mantello per offrirlo al povero, sia emblematica e si sia espressa figurativamente in un’icona. In quell’immagine si nota come in sogno, in visione, Martino riconosce nel mendicante Cristo, secondo l’identificazione che il Signore ha fatto tra di sé e tutta l’umanità, specialmente coloro che più soffrono e sono nel bisogno (“ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” Mt 25,40). Per questo Gesù risorto, sempre in questa visione, è lui stesso che copre con il suo mantello san Martino che generosamente offre il proprio al povero. San Martino riveste il povero con il suo mantello, ma a sua volta Martino è rivestito dal mantello dell’amore di Cristo.
Questa identificazione è alla base della dignità di ogni uomo, in particolare di coloro che sono nel bisogno. La Dichiarazione del Dicastero apostolico per la Dottrina della Fede “Dignitas Infinita” del 25 marzo 2024 circa la dignità umana sottolinea fortemente come la Chiesa nutre la profonda convinzione che non si può separare la fede in Cristo Gesù dalla difesa della dignità umana, l’evangelizzazione dalla promozione di una vita dignitosa, e la spiritualità dall’impegno per la dignità di tutti gli esseri umani.
Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi. Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti. La Chiesa, alla luce della Rivelazione, ribadisce e conferma in modo assoluto questa dignità ontologica della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta in Cristo Gesù. Da questa verità trae le ragioni del suo impegno a favore di coloro che sono più deboli e meno dotati di potere, insistendo sempre «sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza».
Non possiamo qui trattare di tutto ciò, ma rimandiamo alla lettura del citato documento. Qui possiamo solo ricordare in modo principale che possiamo parlare di una quadruplice distinzione del concetto di dignità: dignità ontologica, dignità morale, dignità sociale ed infine dignità esistenziale. Il senso più importante però è quello legato alla dignità ontologica che compete alla persona in quanto tale per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio. Questa dignità non può mai essere cancellata e resta valida al di là di ogni circostanza in cui i singoli possano venirsi a trovare.
Basterebbero solo queste considerazioni a far comprendere come la carità cristiana non è un semplice gesto morale o di buonismo, ma è decisamente radicato nella fede in Cristo Signore, il quale con la sua incarnazione si è reso «in tutto simile ai suoi fratelli» (Eb 2, 17; 4,13), una somiglianza spinta fino coi i più bisognosi, fino all’esperienza del morire per sconfiggere ogni limite e restituire la dignità di ciascuno a vivere una pienezza di vita. don Maurizio.