LA CHIESA DI DOMANI: PICCOLA, LAICA E MISTICA
Abbiamo appena dedicato due Editoriali su quanto sta accadendo – almeno a livello di confronto e dibattito su molte tematiche – nella Chiesa in questa fase del Sinodo dei vescovi. Questioni delicate e di grande attualità che la Chiesa è chiamata ad affrontare dentro questo cambiamento d’epoca. Il pensiero di fondo, che però accompagna questo discernimento, al di là di quello che poi si riuscirà a concretizzare, auspicando delle decisioni significative, è la preoccupazione per il futuro della Chiesa.
L’interrogativo più o meno angosciante è come saranno le comunità cristiane fra qualche anno e che forma avrà la Chiesa nell’immediato futuro. Quando saranno passate queste ultime generazioni che hanno vissuto una fede popolare e diffusa, con tutto il suo bagaglio di tradizionalismi fin nelle pieghe culturali, politiche e sociali determinando stili di vita e persino “ossessioni morali”, che ne sarà del cristianesimo?
Stando alla profezia di Gesù, la sua Chiesa non verrà meno e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt 16,18): la Chiesa rimarrà fino alla venuta del Regno ma la sua forma storica sarà certamente diversa come diverse sono state le manifestazioni, istituzioni e organizzazioni nel corso della sua storia millenaria. Tuttavia, non dobbiamo troppo lasciarci prendere dalla preoccupazione del domani, perché intanto abbiamo la responsabilità del presente e il compito del vivere e testimoniare la fede qui ed oggi in un presente che però getta basi lungimiranti e profetiche per il futuro. Non si tratta, per così dire, di “leggere il futuro nei fondi di caffè”, di riuscire a scoprire quale aspetto avrà la Chiesa anche solo tra pochi anni, e dunque non si tratta principalmente di fare “previsioni” sulle sue condizioni a venire e sulla sua forma ventura; non si tratta neanche di “fantasticherie” su come la si desidera, né di “utopie” su come la Chiesa del futuro potrebbe o dovrebbe apparire.
Ciò che deve starci a cuore è il presente della Chiesa, nella consapevolezza di confrontarci con la realtà mettendo sempre di nuovo a fuoco il cuore e il centro della fede cristiana: questo basterà da sé ad illuminarci su come costruire il domani. Si tratta di non smettere di guardare con passione ai principi e fondamenti, alle tendenze ed esigenze umane autentiche che sono rivolte al futuro. Si tratta potremmo dire con un termine sofisticato – di una “real-utopia” che poggia nel presente reale e al tempo stesso cerca in esso di cogliere le giuste tendenze che nascono dalla continua riscoperta dell’autenticità evangelica.
Leggendo questa realtà, appunto, in ottica “real-utopistica”, si delineano alcune linee fondamentali di una forma di Chiesa futura. Il centro permanente della Chiesa sarà il suo Signore e Maestro e di lui sarà il suo essere sacramento come delineato dalla definizione di Chiesa nel Vaticano II. La Chiesa sarà una piccola “minoranza” ma più di sostanza che non di apparati e di apparenza. La Chiesa assumerà un aspetto più spirituale se non addirittura “mistico”. La comunità cristiana vedrà una sempre maggiore presenza e partecipazione laicale ma finalmente come riscoperta della vocazione battesimale e la Chiesa assumerà sempre più una forma istituzionale più sinodale e collegiale. In sintesi, la Chiesa futura esisterà solo a condizione di una postura mistica di fronte al tempo e alla storia. Non si è mai cristiani una volta per sempre. A questo costante rinnovarsi della Chiesa nello Spirito Santo si rivolge la speranza cristiana: “pellegrini di speranza”.
Anche il nostro progetto pastorale Nicodemo (vedi) coltiva le stesse preoccupazioni e intenzioni. Le riflessioni iniziali contenute in questo progetto, con le considerazioni di Rahner, dell’allora card. Ratzinger e del cardinal Martini, accennavano al futuro della Chiesa come più “sobrio” ed essenziale ma nel senso di decisamente più cristocentrico: ciò che deve caratterizzare la fede e la testimonianza dei cristiani e della Chiesa è la “ricentrazione” su Gesù e il suo Vangelo. A tal proposito mi è caro ricordare un significativo episodio relativo alla nomina di Martini come Arcivescovo di Milano. Poco dopo la consacrazione episcopale, e prima di fare il proprio ingresso in città, il neo arcivescovo aveva intrapreso un viaggio, una sorta di quaranta giorni di deserto. Si era avvicinato a Milano a poco a poco, per tappe, fermandosi in luoghi di raccoglimento e incontrando persone, per ricevere da esse lumi sulla sua nuova missione. Fece sosta a Monteveglio, sull’Appennino bolognese, per incontrare Giuseppe Dossetti, ma il fondatore di quella comunità era partito per la Palestina. Aveva lasciato però un biglietto per l’ospite. Diceva: «Le raccomando che da lei Milano senta solo vangelo, nient’altro che vangelo».
Il progetto Nicodemo e la forza interiore dello Spirito chiedono alla Chiesa di questo tempo questo coraggio a rinnovarsi costantemente. Non dobbiamo resistere come Israele alla soglia dell’ingresso nella Terra Promessa che si rifiuta di muoversi verso la terra del futuro. Quando riceve da Mosè l’ordine di Dio di entrare e di prenderne possesso, ecco che il popolo si spaventa e si blocca provocandola reazione di Dio (Dt 1,19ss). Conclusione: alla terra promessa, al futuro che Dio ha preparato per noi, approda solamente colui che, senza paura e timore dell’ignoto e confidando nella fedeltà di Dio, si lascia alle spalle il deserto e si mette in cammino verso il nuovo.
È stato così anche per i discepoli di Gesù che seguendolo, come “pellegrini di speranza”, hanno imparato a diventare “discepoli credenti”. don Maurizio