LO SPIRITO DEGLI ANNIVERSARI. L’ANNO SACERDOTALE E NON SOLO… (prima parte)
Il prossimo anno, sia solare che pastorale, sarà per la comunità san Vincenzo un anno di particolari e significativi anniversari. Con doveroso spirito di riconoscenza, entusiasmo e sguardo nuovamente proteso al futuro, celebreremo il 70° di ordinazione sacerdotale di don Lino e il suo 40° di presenza nella nostra comunità canturina, il 60° di don Giovanni, il 10° di don Paolo; significativo poi sarà nel corso del prossimo anno l’ordinazione sacerdotale di don Piercarlo che inizierà così il suo 1° anno sacerdotale.
Inoltre, per l’intera comunità cristiana e civile della città sarà importante celebrare i 100 anni della presenza delle Suore Sacramentine di Bergamo e ringraziare per la notevole opera educativa svolta dal loro istituto nei confronti delle giovani generazioni canturine. Tra le suore sacramentine presenti nella nostra comunità, quest’anno celebra i cinquant’anni di professione religiosa suor Elisabetta. Non deve sfuggire, poi, l’anno che si sta chiudendo (2023), in quanto ha segnato i 125 anni di presenza dei Padri Concettini e la loro Casa qui in Cantù è stata l’ultima costituita, ancora in vita, dal loro Padre fondatore il Beato Luigi Monti.
A completare il quadro delle ricorrenze non possiamo dimenticare il 60° dalla prima collocazione della Croce sulla cima Dufour del Monte Rosa a 4635 mt. (1964) da parte dell’allora GEAM. Gli anni della benedizione della croce da parte di Paolo VI e della sua posa erano anche gli anni carichi di entusiasmo e speranza per la celebrazione del Concilio Vaticano II. E chissà quanti altri avvenimenti meritano la nostra “memoria” a cominciare da quelli personali e familiari. Infatti, nell’immediato orizzonte (2026) ci prepariamo al 20° della istituzione della Comunità Pastorale di san Vincenzo espressione della comunione e della pastorale d’insieme delle nostre parrocchie. Infine il prossimo anno sarà anche il 480° anniversario della apparizione della “Madonna Bella” alla veggente Angiolina.
Certo gli anniversari possono essere ingombranti. Dimenticano le ombre e creano spesso solo un’immagine patinata e festosa. Non di rado arrivano a saturare di occasioni, di pubblicazioni e rimandi il festeggiato o l’avvenimento ricordato.
Tuttavia se ne avverte una necessità perché senza anniversari sembra che non riusciamo a ricordare. Non è così anche per i compleanni? Invecchiamo ogni giorno che passa eppure ce ne rendiamo conto solo un’alba ogni trecentosessantacinque. La verità è che un anniversario, come un compleanno, è una conquista e quindi un’occasione per fare festa. Inoltre, le ricorrenze di persone o avvenimenti in genere possono essere utili come supporti della memoria per interrogare gli uni e gli altri con nuove domande che nel frattempo si sono affacciate o suscitate dal corso del tempo, permettendo di acquisire una maggiore limpidezza storica e spirituale. Per questo lo spirito degli anniversari è uno sguardo sul presente ma anche uno stimolo a guardare avanti in modo persino lungimirante perché si è fatto tesoro del passato.
Oltre ogni intento celebrativo o encomiastico, ciò che è doveroso e importante è fare “memoria”, parola abusata e quanto mai necessaria per i nostri tempi e per il suo insospettabile significato. Fare “memoria”, infatti, è molto di più di un semplice “ricordare”. Per cogliere la profonda capacità evocativa di questo termine basterebbe pensare alla celebrazione dell’Eucaristia che è memoria – memoriale – dell’ultima cena e della Pasqua di Gesù. “Memoriale” è rendere attuale ed efficace in modo reale la natura o l’essere profondo dell’avvenimento celebrato.
Riprendo l’Editoriale precedente. Se non basta solo ricordare ma fare “memoria”, è altrettanto vero che i due termini particolarmente densi sono anche complementari. La parola “memoria” deriva da “mens”, la mente, la sostanza razionale e intellettuale della nostra identità alla quale noi assegniamo come sede la testa. Ma il “ricordo” nasce – e la parola lo attesta – da un’altra fonte di saggezza, da “cor”, la sede dei sentimenti e delle emozioni che noi situiamo di solito nel muscolo cardiaco attribuendogli una funzione vitale. Dobbiamo riconoscerlo: non c’è nulla di così fraternamente complementare e sinergico.
Memoria e ricordo costituiscono la nostra storia. Ma la storia altro non è se non lo sforzo – tra le altre cose – di disciplinare la memoria, darle ordine ed interpretazione. E senza memoria noi non siamo più nulla. La memoria è anche il nucleo profondo della nostra personale e comunitaria identità. Pertanto, non dobbiamo mai smarrire il “chi sono” e il “chi siamo noi”.
Le conseguenze sono notevoli e non si limitano al solo non dimenticare.
Fare memoria di un evento significa, per esempio, rivivere la scintilla originale, il punto
incandescente di ciò che è stato e si prolunga fino ad oggi rinvigorendo l’esperienza attuale.
Fare memoria significa attingere all’originaria energia perché sproni ancora ad andare avanti verso una pienezza sempre più grande, un futuro da costruire sulla saggezza dell’esperienza, una lungimiranza che nasce dalla memoria grata e significativa; infine, significa una profezia frutto del discernimento di avvenimenti disseminati ma non sparpagliati, che suggeriscono piuttosto un disegno misterioso ma sempre provvidenziale.
Fare memoria degli anniversari di ordinazione sacerdotale nella nostra comunità significa quanto meno riscoprire da parte di tutti la vita come vocazione (cfr. Delpini, lettera pastorale scorsa e di quest’anno). Riscoperta della “vocazione battesimale”: chiamata fondamentale di tutti, nella quale poi si radica ogni altra vocazione personale, e che ci ha messo in una via che è la via cristiana; itinerario globale, abbracciante tutta quanta la nostra esistenza e sempre legata alla persona di Gesù che seguiamo in qualunque stato di vita. Di fatto, la vocazione di tutti è la chiamata di Gesù che ci incontra e ci chiama lì dove siamo, invitandoci alla fede e alla sequela di lui: le due caratteristiche fondamentali che costituiscono ogni figura cristiana.
Potrà essere inoltre occasione per riscoprire di nuovo la comunità cristiana come “popolo di Dio” dove pastori, diverse figure ministeriali e gregge camminano insieme e collaborano all’opera di evangelizzazione e alla edificazione del Regno di Dio qui ed oggi. Tra l’altro la categoria” di Popolo di Dio è stata particolarmente messa a fuoco esattamente sessant’anni fa da quel Concilio Vaticano II che il papa e la Chiesa chiedono di riscoprire insieme al tema della preghiera nel prossimo anno come preparazione in vista del primo Giubileo ordinario del terzo millennio nel 2025 (…). Dopo questo Giubileo saremo stimolati da un altro “cammino”: quello verso l’anno del secondo millennio della Redenzione nel 2033, che guarda al terzo millennio del cristianesimo. (…)
Dentro quest’orizzonte, proponiamo concretamente all’intera comunità pastorale di San Vincenzo una serie di iniziative non solo per celebrare un anno sacerdotale ma per crescere nella consapevolezza ecclesiale di essere “Popolo di Dio”.
Già la settimana prossima proponiamo la celebrazione delle sante “Quarantore” con un tema che giorno per giorno sottolinea la vocazione alle diverse chiamate non solo di stati di vita ma al vivere in pienezza la propria e personale chiamata battesimale. A tal proposito ogni sera, nel contesto dell’Adorazione Eucaristica, ci sarà una testimonianza che sottolinea la vocazione e quindi ci offre l’opportunità di riflettere e pregare anche per i nostri significativi anniversari, dove il primo tra tutti è quello di essere chiamati (vocazione) a “vivere una vita ricevuta”. Potrebbe essere l’occasione per introdurre l’abitudine non solo di festeggiare, come normalmente facciamo, la data della nostra nascita (compleanno), ma anche quella del nostro Battesimo, la chiamata a vivere una vita di grazia. Don Maurizio