MA L’ULIVO È ANCORA COLTIVATO IN EUROPA?
Ovviamente non parliamo della pianta vegetale ma dell’ulivo segno di pace. In questa Domenica delle Palme siamo tutti con i ramoscelli d’ulivo in mano. Certamente, almeno per noi cristiani, per fare memoria dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme e per dare avvio ai riti della Settimana Santa, o Autentica come liturgicamente viene denominata.
Quei rami d’ulivo nelle nostre mani vorrebbero significare non solo la gioia per la benedizione che Gesù viene a portarci con la sua Pasqua (passione, morte e risurrezione), ma anche l’augurio e la benedizione della pace. Da sempre, fin dalla famosa colomba di Noè, il ramoscello d’ulivo è stato simbolo di riconciliazione, concordia e di pace. Dobbiamo però costare come ai nostri giorni non solo la colomba che fece ritorno a Noè con un ramoscello d’ulivo in bocca è sparita dai nostri cieli, ma anche la prospettiva di un’era di pace continua ad allontanarsi dalla nostra Europa, oltre che in diverse parti del mondo.
A preoccupare è soprattutto il nostro vecchio continente che pensa sempre di più a riarmarsi e fatica enormemente a trovare la strada del dialogo e della diplomazia. Forse si sono nuovamente smarrite le nostre radici ebraico cristiane o abbiamo perso la capacità di essere costruttori di pace? La nostra memoria si è così velocemente dissolta da aver dimenticato i disastri di due guerre mondiali e degli altri conflitti del secolo scorso e dell’inizio di questo.
Ciò che è ancora più sconcertante è che sembra di aver smarrito quei valori di progresso umano e cristiano che per millenni ha caratterizzato la cultura e la convivenza in Europa. Speriamo però che non accada di lasciare cadere nell’oblio quanti hanno lavorato invece per un futuro europeo segnato dalla “casa comune europea” e edificato questa casa sulla pace, sulla giustizia, sulla dignità della persona, sull’accoglienza, sulla salvaguardia del creato e dei più deboli. A riguardo vengono in mente tanti nomi vecchi, ma anche recentissimi come David Sassoli.
Un anniversario ci viene in aiuto a fare memoria del tanto bene si è cercato di costruire. Basterebbe ricordare che sono passati solo vent’anni da quella sera di sabato 2 aprile 2005 (solo pochi giorni fa), quando milioni di persone in tutto il mondo piansero la morte di san Giovanni Paolo II. Due decenni dopo, lo si ricorda giustamente come un grande evangelizzatore moderno, difensore della vita, della dignità umana, della libertà religiosa. Pochi ricordano invece altri suoi profetici insegnamenti particolarmente attuali in questo oscuro frangente della storia.
Correva l’anno duemila, una parte considerevole del nostro mondo viveva ancora nell’ubriacatura per “la fine della storia” dopo la caduta del Muro di Berlino. Mentre nei Paesi dell’ex Oltrecortina (Europa dell’est), più che la rinascita della fede, si cominciavano a diffondere consumismo e secolarizzazione, il Pontefice venuto dalla Polonia volle portare in piazza San Pietro la statua della Madonna di Fatima pronunciando parole che allora nessuno comprese: «L’umanità è a un bivio. Essa possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino o ridurlo a un ammasso di macerie». Un anno dopo, la tragedia dell’11 settembre faceva rimpiombare l’Occidente nella paura.
Giovanni Paolo II già nel 1991 si era opposto alla prima guerra del Golfo e venne lasciato solo da quei leader occidentali che fino a due anni prima esaltavano il suo ruolo nei confronti dei paesi dell’Est europeo. Il Papa ripeté con ancora più nettezza il suo “no” alla guerra nel 2003, quando alcuni Paesi dell’Occidente mossero per la seconda volta guerra all’Iraq. Papa Wojtyla, già malato e provato nel fisico dal morbo di Parkinson, si sentì in dovere di avvertire quei capi di governo promotori della nuova campagna militare nel Golfo ricordando loro gli orrori dell’ultimo conflitto mondiale, che lui, l’anziano Successore di Pietro figlio di una nazione martire, aveva vissuto in prima persona. Aggiunse a braccio al testo dell’Angelus questo appello: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile!».
ibile!». Oggi più che mai, con il mondo che va a fuoco, e gli Stati che corrono a riempire gli arsenali, con la propaganda che crea un clima di allarme e paura per giustificare ingenti investimenti nelle armi, bisogna ricordare quelle profetiche parole del Vescovo di Roma venuto da «un Paese lontano», oggi riecheggiate dal suo successore, Francesco, anch’egli lasciato solo a gridare contro la follia della guerra. Pertanto, per non lasciare solo il successore di Pietro, per ribadire che la nostra Europa ha bisogno di ritornare a edificarsi sulle basi di una cultura di pace, non limitiamoci allo sventolio dei nostri ramoscelli d’ulivo.
Ritorniamo a dare valore e significato anzitutto religioso a questo segno, e se lo portiamo nelle nostre case, sia un forte richiamo a costruire relazioni oneste, rispettose e di riconciliazione, educando al senso del bene comune e della solidarietà, superando la logica egoistica del famoso detto latino: “Homo homini lupus” (“l’uomo è un lupo per l’uomo”).
Dobbiamo fare in modo, anche nel nostro piccolo, che la pianta d’ulivo ritorni ad essere nuovamente piantata nelle nostre terre d’Europa, incominciando dalle terre di casa nostra… altrimenti il nostro gesto della Domenica delle Palme potrebbe rischiare di essere insignificante, se non addirittura ridicolo. don Maurizio.