GIUBILEO E NICODEMO… OCCASIONI PER RITROVARE NOI STESSI
Con il Battesimo di Gesù al Giordano, di cui oggi la liturgia fa memoria, si conclude il tempo natalizio, che ha celebrato un paradosso illogico per la ragione umana: mentre nelle religioni, in generale, è l’uomo a provare a raggiungere Dio con preghiere, sacrifici e credenze, nella narrazione alla base delle feste natalizie è Dio che cerca di raggiungere l’uomo facendosi come lui, condividendo tutta la realtà umana, tranne che nel peccato.
La teologia cristiana chiama questa operazione “incarnazione in vista della redenzione”. Redenzione: un termine spesso vuoto anche per i credenti, perché l’uomo di oggi, con la sua autosufficienza e il suo orgoglio, non ha bisogno di alcuna redenzione. Infatti, l’uomo moderno non si pone nemmeno la questione di essere salvato: salvato da chi, salvato da che cosa, se scienza e tecnologia rispondono, quasi in tempo reale, a tutti i suoi bisogni ed esigenze?
L’epifania appena celebrata ha proprio la pretesa di svelare, di presentare al mondo intero il Salvatore, il Redentore di questo mondo. Epifania significa infatti Manifestazione e nello specifico manifestazione di questa volontà da parte di Dio. Il figlio di Dio si mostra a tutti gli uomini che lo cercano, rappresentati dalla triade di astronomi -i cosiddetti Magi- in viaggio dal vicino Oriente perché convinti che a movimenti straordinari dei corpi celesti, come quelli che accaddero allora, corrispondessero movimenti straordinari dei corpi terrestri, in questo caso la nascita di un re e salvatore; ma essi, una volta arrivati, trovano solo un bambino in una stalla. Che re-salvatore è mai questo? Che potenza o forza potrà mai mostrare per redimerci?
Redimere in latino significava “ricomprare”, “riscattare” e indicava la procedura giuridica per liberare -a pagamento- qualcosa da un vincolo, per esempio un bene confiscato, un prigioniero, uno schiavo… Tra l’altro, questo ritrovare la propria libertà, identità, vita vera, sono le stesse prospettive indicate dall’anno santo del Giubileo, anno di grazia per ritrovare sé stessi.
Il termine viene assunto in ambito cristiano per indicare l’azione compiuta da Cristo per liberare l’uomo in schiavitù e renderlo figlio. Ma che significa “schiavo del peccato”? Il peccato non è semplicemente l’infrazione di una legge, ma è il tradimento del proprio destino: l’infelicità di aver perso la propria identità unica e irripetibile, che per il Dio cristiano è talmente unica e importante che non deve venir meno neanche dopo la morte, con quell’altra “operazione”, dimenticata anche dai credenti, che si chiama resurrezione.
Di questa accezione di peccato rimane traccia quando qualcosa di prezioso si rompe, qualcosa di bello si rovina, qualcosa di buono marcisce e diciamo: “che peccato!”, perché il senso di quella cosa è purtroppo perduto. Non a caso la parola greca che in italiano traduciamo con “peccato” significa “fuori bersaglio”: obiettivo mancato. La redenzione è allora la restituzione, a chi vuole, della possibilità di essere sé stessi, di centrare il bersaglio: essere “beati”.
Ma come può un bambino in una capanna far tutto questo? Ma come può un Dio che si fa in tutto simile a noi, “impastato” di umanità, riscattarci e farci ritrovare la nostra identità originaria e quindi la nostra dignità? Proprio grazie al fatto che l’onnipotenza divina si manifesta nel nostro mondo non nella forma più scontata per l’uomo: la potenza, ma in quella inattesa e forse deludente di chi ha bisogno di ogni cura: un figlio, perché sia chiaro che da quel momento in poi “divino” è chi diventa, come lui, figlio di Dio. La redenzione è quindi il dono della condizione di “figlio” a chi la vuole, gratuitamente e liberamente, cioè un profondo e costante sentirsi voluti nella vita, come capita quando ci sentiamo amati sino al midollo o ci accade qualcosa che ci fa sentire il centro dell’universo. Nella parte più profonda di me, mi sento voluto qui e ora, e per sempre, a prescindere da quello che ho, faccio, appaio. Infatti, chi diventa figlio di Dio è redento, riceve continuamente le energie per non morire, perché l’essenza del figlio del creatore della vita è avere sempre a disposizione tutta la vita.
La redenzione è quindi ricevere le potenze creative della vita, che indichiamo con il verbo “amare”, sinonimo nella narrazione cristiana di “creare”; infatti, solo l’amore porta nel mondo qualcosa che non c’era prima, mentre il potere e la pretesa non fanno altro che spostare energie già esistenti nelle mani di pochi, che comunque prima o poi moriranno. Il potere sposta, l’amore crea. Solo chi si sente sempre amato riceve vita e non ha paura di amare, dare vita, come dice e fa lo stesso Cristo.
Chi vive così è già risorto: ha una vita che non si rovina, è sempre vivo ed è vivo per sempre, ri-esiste, esiste sempre di nuovo, dall’alto. Lo scopriremo molto bene con la figura di NICODEMO, prima tappa del progetto pluriennale proposto per diventare “discepoli credenti”.
L’Epifania e il Battesimo di Gesù -e con il suo anche il nostro- diventano la Manifestazione di chi è ciascuno: chi sono io denudato da ogni curriculum, ruolo, successo e travestimento; chi e cosa mi tiene in vita; quanto sono amato e quanto amo.
Il Giubileo 2025 e la figura di Nicodemo, discepolo “incipiente” che gradualmente diventa “discepolo credente”, ci saranno da guida in questo anno e ci offriranno occasioni per ri-trovare noi stessi. don Maurizio