ANNO SANTO: OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLA SPERANZA
Papa Francesco, in occasione di questo Anno Santo, ci invita a riflettere sulla speranza che è il tema di fondo del Giubileo. Abbiamo bisogno, però, anzitutto, di “allenarci a riconoscere la speranza, ci stupiremo di quanto bene esiste nel mondo”.
Questo anno è un’occasione propizia per riflettere su questa fondamentale e decisiva virtù cristiana, poiché i tempi come quelli che stiamo vivendo possono indurci ad assumere atteggiamenti di cupo sconforto e malcelato cinismo. Pertanto, anche noi dedicheremo in questo anno alcuni Editoriali per aiutarci a riflettere sul tema della Speranza ma, ovviamente, la Speranza cristiana.
La speranza è un dono e un compito per ogni cristiano. È un dono perché è Dio che ce la offre. Sperare, infatti, non è un mero atto di ottimismo, come quando a volte auspichiamo di superare un esame all’università («speriamo di farcela»), oppure ci auguriamo bel tempo per la gita fuoriporta in una domenica di primavera («speriamo faccia bello»). No! sperare è attendere con certezza qualcosa che ci è già stato donato: la salvezza nell’amore eterno e infinito di Dio.
Quell’amore, quella salvezza che danno sapore al nostro vivere e che costituiscono il cardine su cui il mondo rimane in piedi, nonostante tutte le malvagità e le nefandezze causate dai nostri peccati di uomini e di donne. Sperare, dunque, è accogliere questo dono che Dio ogni giorno ci offre. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, umanità, storia e giorni, per condividere la nostra sorte. Possiamo sperare perché Dio è con noi, perché l’infinito si è fatto piccolo, perché la sua gloria si è affacciata sul nostro mondo, sulla nostra storia; e possiamo sperare anche nell’abisso del nostro peccato, della nostra miseria, del nostro sentirci indegni di Lui. La speranza si fonda sulla certezza che l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua benevolenza non verranno mai meno.
La speranza è anche un compito che i cristiani hanno il dovere di coltivare e mettere a frutto per il bene di tutti i loro fratelli e sorelle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia. Il compito è quello di restare fedeli al dono ricevuto. Dio ci è fedele, il nostro compito è quello di rispondere a questa fedeltà.
Ma attenzione: non siamo noi a generare questa fedeltà, è un dono di Dio che opera in noi se ci lasciamo plasmare dalla sua forza d’amore: lo Spirito Santo che agisce come soffio d’ispirazione nel nostro cuore. La speranza «non tollera l’indolenza del sedentario», ovvero quella forma di pigrizia, di accidia tipica di chi vive a proprio agio nelle sue comodità. A noi il compito, dunque, di invocare questo dono: «Signore, donami di esserti fedele nella speranza!».
E per vivere la speranza serve una “mistica dagli occhi aperti”, come la chiamava il grande teologo Johann-Baptist Metz: saper scorgere, ovunque, attestazioni di speranza, l’irrompere del possibile nell’impossibile, la grazia dove sembrerebbe che il peccato abbia eroso ogni fiducia.
Molti sono i segni di questa speranza come ultimamente, ad esempio, due eccezionali testimoni di speranza, due padri: uno israeliano, Rami, uno palestinese, Bassam. Entrambi hanno perso le loro figlie nel conflitto che insanguina la Terra Santa da ormai troppi decenni. Ma ciononostante, in nome del loro dolore, della sofferenza provata per la morte delle loro due figliolette – Smadar e Abir – sono diventati amici, anzi fratelli: vivono il perdono e la riconciliazione come un gesto concreto, profetico e autentico. La loro amicizia e fratellanza ci insegnano che l’odio non può avere l’ultima parola. La riconciliazione che loro vivono come singoli individui, profezia di una riconciliazione più grande ed allargata, costituisce un invincibile segno di speranza. Anzi si tratta di un’autentica azione di pace, e questo è il mese della pace! E la speranza, anche in questo modo, ci apre a orizzonti impensabili.
Invitiamo, pertanto, ad un gesto semplice ma concreto che tutti possiamo fare: alla sera, prima di coricarsi, ripercorrendo gli eventi vissuti e gli incontri avuti, andiamo alla ricerca di un segno di speranza nella giornata appena trascorsa. Un sorriso di qualcuno da cui non ce lo aspettavamo, un atto di gratuità osservato a scuola, una gentilezza riscontrata sul posto di lavoro, un gesto di aiuto, magari anche piccolo: la speranza è proprio una «virtù bambina», come scriveva Charles Péguy. E serve tornare bambini, con i loro occhi meravigliati sul mondo, per incontrarla, conoscerla e apprezzarla.
Alleniamoci a riconoscere la speranza. Sapremo allora stupirci di quanto bene esiste nel mondo. E il nostro cuore si illuminerà di speranza. Potremo così essere fari di futuro per chi ci sta intorno.
Buon inizio di anno di grazia in questo Giubileo della Speranza. don Maurizio.