GIUBILEO “ANNO DELLA FEDE” – LA PROPOSTA DI CATECHESI DELLA COMUNITÀ PASTORALE
Durante il prossimo Giubileo cadrà una ricorrenza molto significativa per tutti i cristiani. Si compiranno, infatti, 1700 anni dalla celebrazione del primo grande Concilio ecumenico, quello di Nicea.
Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre. Ma Nicea rappresenta anche un invito a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile, a non stancarsi di cercare forme adeguate per corrispondere pienamente alla preghiera di Gesù: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
Nei primi secoli della storia della Chiesa i cristiani hanno molto pregato, pensato, sofferto per difendere l’essenziale verità a proposito di Gesù, contrastando le tendenze a semplificare il mistero di Dio così da renderlo meno scandaloso per il pensiero culturale, religioso e filosofico di quei secoli.
Questa drammatica vicenda ha condotto alla professione di fede del Concilio di Nicea, nell’anno 325, che è parte fondamentale del simbolo niceno-costantinopolitano proclamato nelle nostre assemblee durante le celebrazioni eucaristiche domenicali e festive.
Il Simbolo niceno-costantinopolitano, o Credo niceno-costantinopolitano, è una formula di fede relativa all’unicità di Dio, alla natura di Gesù e, implicitamente, pur senza usare il termine, alla trinità delle persone divine. Composto in origine dalla formulazione approvata al primo concilio di Nicea (a cui vennero aggiunti ampliamenti, relativi anche allo Spirito Santo, nel primo concilio di Costantinopoli del 381), esso fu redatto a seguito delle dispute che attraversavano la chiesa del IV secolo, soprattutto a causa delle teorie cristologiche di Ario (Arianesimo) che, negando la divinità di Gesù, ne affermavano la sola umanità.
Nel 2025, si compiono i 1700 anni da quel Concilio: è provvidenziale ricordare e celebrare quell’evento e approfondire le parole difficili e irrinunciabili che i padri di Nicea hanno formulato per dire la loro fede: il Figlio è della stessa sostanza del Padre, e non solo.
Come possiamo capire e dire questa verità della fede cristiana, perché non sia solo una formula da ripetere? Ma non solo. Tutto il CREDO che recitiamo, forse troppo meccanicamente, è fatto di tante affermazioni fondamentali e caratteristiche della nostra fede che non le comprendiamo a fondo in tutte le loro implicanze, ma che hanno una portata straordinaria. Si tratta di rendersene conto e cogliere la profondità delle parole che diciamo. Parole affascinati, parole profonde, parole che, attraversando i secoli e i millenni, dicono la bellezza e le verità imperiture della rivelazione cristiana.
La questione della fede che professiamo non è di poco conto. Dire: “Credo in Dio Padre onnipotente…Credo in Gesù Cristo suo unico figlio…Credo nello Spirito Santo…Credo…”, può sembrare più che azzardato e per certi versi persino rischioso per le conseguenze che ne derivano. Come una serie di domande: noi possiamo “dire Dio” e persino pretendere di descriverlo? E, in caso, come lo diciamo, con quali parole? Dire Dio con le parole umane sarà mai possibile? Entrare nel mistero della sua esistenza -e per noi cristiani nel mistero della trinità e della comunione delle sue Persone- è nelle nostre capacità non solo intellettuali ma affettive, spirituali? Se l’indicibile diventa dicibile attraverso Gesù Cristo, siamo disposti ad ascoltare in profondità il suo Vangelo e farlo diventare cuore e centro della nostra fede cristiana? Vibrano ancora oggi, per il singolo credente e per la Chiesa tutta, le parole che, con la sua tagliente intuizione profetica, scriveva alcuni decenni fa padre David Maria Turoldo (+ 1992): «Nel profondo, il problema non è Dio, ma è: in quale Dio credere. Credere in un Dio sbagliato è il più grande disastro che possa capitare. Una situazione che oggi si fa sempre più grave; e non solo per via degli estremismi e nazionalismi religiosi, ma pure per forme aberranti di “fideismi” anche cristiani: aspetto che è ancora più avvilente in quanto, se c’è un problema posto da Cristo alla fede, è precisamente quello di Dio: è sulla conflittualità del concetto di Dio che Cristo verrà condannato e ucciso. A sbagliare Dio, è sempre l’uomo che paga». Ancora una vola la questione decisiva è non in che cosa credo ma in CHI credo!
Avrò, avremo questa difficile fede? Forse sarebbe bene ripetere a Gesù quello che gli disse il padre del ragazzo posseduto da uno spirito muto, in Mc 9,23-34, pregandolo di guarirlo. All’affermazione positiva del Maestro, perché «tutto è possibile per chi crede», l’uomo rispose: «Credo, ma tu aiutami nella mia incredulità».