LA PACE COMINCIA… DA ME
Questo primo mese dell’anno si è aperto con la giornata mondiale di preghiera per la pace e tutto il mese è dedicato a questa riflessione, oggi più che mai di grande attualità e necessaria per comprendere ciò che sta accadendo. Diverse saranno le iniziative e le mobilitazioni, ma tra tutte occorre l’esercizio della comprensione degli avvenimenti. Prezioso e da pochi esercitato – purtroppo – è pure un lavoro di introspezione per andare alla radice delle conflittualità e sapere che il loro superamento può risiedere non in chissà quali strategie o acrobazie diplomatiche, pur necessarie, ma nel cuore di ciascuno di noi.
A tal proposito sono utili, e per questo riprendo alcuni passaggi di una riflessione che il Card. Martini ha pronunciato nella veglia per la pace del 1991. Parole che, seppur datate, sono attualissime e dimostrano che la guerra ha radici profonde e che la pace necessita di un altrettanto profondo lavoro nel cuore dell’uomo.
Il punto di partenza è l’invocazione al termine di una lunga preghiera di una cerimonia espiatrice che il gruppo di ebrei al tempo della deportazione a Babilonia innalza in terra straniera: “Noi siamo in grande angoscia” (Neemia 9, 37). Da queste parole conclusive possiamo partire per introdurci nell’ambito del nostro modo di pregare per la pace, che non è l’ambito etico politico, quello dei giudizi a livello del diritto internazionale, ma lo stesso ambito specifico della preghiera di Neemia: quello dell’invocazione, dell’intercessione, del pentimento.
Ma qui nasce la domanda che riguarda un po’ tutta la preghiera davanti ad avvenimenti e situazioni drammatiche: non è questo un ambito sterile, forse inutile davanti all’urgenza di risolvere i problemi e porre fine ai conflitti? Non è un ambito che ci fa eludere i problemi, che li scavalca, per così dire, senza risolverli? Invece di pregare non è meglio agire? Inoltre, a volte, ci viene spontaneo indirizzare, come Giobbe, una protesta a Dio: “Abbiamo pregato tanto, abbiamo chiesto più volte la pace, ma tu, Signore, non ci hai esaudito!” Ecco un grande motivo della nostra sofferenza civile, umana, religiosa, che tocca il cuore della fede: “Perché Signore non ci ascolti?”
Nella fatica di trovare le ragioni in quanto la realtà e la storia sono sempre complesse, tuttavia dobbiamo anzitutto riconoscere di dover essere onesti con noi stessi e ammettere, seppur con parole forti, che “I fiumi di sangue sono sempre preceduti da torrenti di fango” e in tali torrenti abbiamo sguazzato un po’ tutti noi umani, uomini e donne di ogni paese e latitudine: l’immoralità della vita, gli egoismi personali e di gruppo, la corruzione politica, i tradimenti e le infedeltà a livello personale e familiare, l’indifferenza, l’indolenza e lo sciupio delle energie di vita per cose vane, frivole o dannose, l’insensibilità di fronte ai milioni di esseri umani la cui vita è soffocata… e poi vorremmo che Dio venisse incontro a una preghiera che spesso nasce proprio dalla paura di perdere le nostre comodità, il nostro benessere, di dover un giorno pagare di persona per i nostri errori.
Se oggi c’è una guerra non è perché le cose si siano mosse quasi per caso o per sbaglio, pur se ci sono delle responsabilità precise, a cui nessuno potrà sfuggire. C’è una guerra perché, per tanto tempo, si sono seminate situazioni ingiuste, si è sperata la pace trascurando quelli che Giovanni XXIII chiamava “i quattro pilastri della pace”, cioè verità, giustizia, libertà e carità.
Ogni seria preghiera per la pace deve quindi nascere dal pentimento e dalla volontà di ricostituire anzitutto nella nostra vita personale e comunitaria quei “i quattro pilastri”: verità, giustizia, libertà, carità. Senza tale volontà umile e sincera -e potremmo aggiungere da parte di tutti -, la nostra preghiera e la nostra invocazione sono ipocrite, o almeno insufficienti.
Non sempre la nostra preghiera inoltre è ben indirizzata, chiediamo la pace come qualcosa che riguarda gli altri, insistiamo perché Dio cambi il cuore dell’altro, nel senso naturalmente che vogliamo noi.
Ma come deve essere allora la preghiera per la Pace? Il primo oggetto di un’autentica preghiera per la pace siamo noi stessi: perché Dio ci dia un cuore pacifico. “Dona nobis pacem” significa anzitutto: purifica, Signore, il mio cuore da ogni fremito di ostilità, di partigianeria, di partito preso, di connivenza; purificami da ogni antipatia, pregiudizio, egoismo di gruppo o di classe o di appartenenza etnica. La preghiera poi deve avere la caratteristica della intercessione.
Intercedere non vuoi dire semplicemente “pregare per qualcuno”. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuoi dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Si tratta di mettersi in mezzo. Non stiamo parlando dunque di qualcuno che da lontano esorta alla pace o a pregare genericamente per la pace, bensì di qualcuno che si metta in mezzo, che entri nel cuore della situazione, che stenda le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione.
Difficile farlo nel contesto geopolitico e dei grandi sistemi internazionali, ma la pace comincia da me, dall’educazione e purificazione del mio stesso cuore; e se tutti gli uomini e le donne facessero così, forse la conflittualità sparirebbe o almeno sarebbe ridimensionata. Certo i cieli nuovi e la terra nuova sono dono dall’alto e anche per questo va chiesta la pace come dono di Dio e non solo impegno degli uomini.
don Maurizio