LA TESTIMONIANZA DEL NOSTRO ARCIVESCOVO
Come penso siamo tutti abbastanza informati, le scorse settimane si è conclusa la penultima fase del Sinodo della Chiesa universale, Il sinodo dei Vescovi (ma ecco una delle novità: non solo loro…) dal tema “Per una Chiesa sinodale. Comunione. Partecipazione. Missione”.
Anche il nostro Arcivescovo vi ha partecipato e ha voluto sinteticamente lasciare la sua testimonianza nell’omelia di san Carlo Borromeo. Alcune sue riflessioni ci danno lo spunto non solo per tenerci aggiornati su questo evento di Chiesa che si concluderà il prossimo anno, ma anche per stimolarci a lavorare sempre più sinodalmente nella nostra Comunità Pastorale. Anzi questo è solo l’inizio di una riflessione più ampia su come anche noi possiamo essere più sinodali, cominciando a capire cosa significa ed esercitando la sinodalità, che è la capacità di mettere insieme i contributi di tutti perché insieme si possa costruire il regno di Dio qui e oggi. Ascoltiamo l’Arcivescovo.
Il Sinodo è un cammino che intende dare un volto nuovo alla Chiesa. Intorno al Sinodo sono cresciute forse attese disordinate. Alcuni si sono messi nell’atteggiamento di chi sta a guardare come per dire: “vediamo se il Sinodo mi dà ragione” o con lo scetticismo di chi si aspetta di poter concludere: “avete visto che non si è combinato niente, come dicevo io?”. Forse lo Spirito che opera nella nostra Chiesa ha da anni suggerito un atteggiamento diverso: quello di chi si fa avanti per dire: “mi appassiona questa chiamata a un coinvolgimento di tutti per la missione della Chiesa in questa terra, in questo tempo”.
Nella prima sessione del Sinodo, celebrata a Roma nel mese di ottobre dopo il biennio di preparazione, alcune acquisizioni mi hanno provocato e dovrebbero provocare tutti. In primo luogo mi è risultata evidente l’immagine della Chiesa cattolica segnata da fatica, impopolarità, sospetto in tutte le parti della terra. E in molti paesi di antica tradizione cattolica la Chiesa appare come imbarazzata, considerata una istituzione antiquata, responsabile di scandali e di oscurantismo.
In secondo luogo, mi è risultato evidente il senso di responsabilità per la missione: siamo debitori del Vangelo di Gesù, dell’annuncio della speranza che viene per tutti dalla morte per amore e dalla risurrezione di Gesù. La responsabilità per la missione fa nascere l’interrogativo sulla timidezza dell’annuncio, sull’imbarazzo dei cristiani a dire in lingua comprensibile e con lo stile di Gesù la loro fede e per giungere tutti all’unità della fede e della conoscenza di Gesù, fino all’uomo perfetto (Ef 4,13).
In terzo luogo, abbiamo detto e scritto molte parole per esplorare la sinodalità come un metodo che coinvolga tutti i battezzati a mettere a frutto i doni ricevuti per l’edificazione del corpo di Cristo.
L’atteggiamento che è chiesto a tutti è quello di sentire la responsabilità per la missione e di coinvolgersi perché il debito del vangelo sia onorato nelle forme che si dovranno decidere e attuare.
Devo aggiungere che una parola tipicamente sinodale, riecheggiata più volte nelle assemblee sinodali è stata “cammino” – espressione usata in questi primi mesi anche da me dalla mia nomina come responsabile della Comunità Pastorale, per richiamare il nostro crescere insieme come popolo di Dio nella maturità della fede. Siamo dentro un cammino di Chiesa, siamo dentro un cammino di storia: dobbiamo procedere con la saggezza dello “scriba del vangelo” (Mt 13,52) che sa discernere il valore delle cose antiche e al tempo stesso proporre le cose nuove per rispondere sempre meglio alle sfide dell’evangelizzazione in questo cambiamento d’epoca.
Per fare questo, l’atteggiamento fondamentale della sinodalità è quello dell’ “ascolto profondo”: lasciarsi macerare dall’ascolto. Mettere a fuoco quali possano essere i frutti del Sinodo come ulteriore cammino di trasmissione dell’esperienza a tutta la comunità ecclesiale per proseguire, approfondire e articolare ulteriormente quelle domande che rimangono aperte nella consapevolezza che non si arriva a un punto conclusivo ma si tratta sempre come Chiesa di rendere nuovamente presente il volto del Signore nella storia che abitiamo. Nessuna contrapposizione con nessuno, nessuna ricerca del proprio interesse, volontà tenace e paziente di dialogo, sforzo comune nel ricercare ciò che è il bene per tanti, sapendo che non tutto può essere risolto dalle sole nostre forze per cui diventa indispensabile, almeno per noi cristiani, l’appello al dono dello Spirito. don Maurizio.