S. Pasqua 2020
I sacerdoti della Comunità pastorale augurano a tutti una Pasqua con la pace nel cuore
Carissimi, in questi giorni mi sono imbattuto in una frase di Etty Hillesum, una giovane olandese morta a 29 anni ad Auschwiz, che parlando dell’olocausto dice così: “Una cosa mi si fa sempre più chiara: che tu, Dio, non ci puoi aiutare, ma siamo noi che dobbiamo aiutare Te e facendo questo, alla fine, aiutiamo noi stessi. E questa è l’unica cosa che in questo periodo possiamo salvare, ed è l’unica cosa, questa, che davvero importi: un pezzo di te in noi stessi, Dio”. Allora mi sono chiesto: “Davvero Dio non può fare nulla, davanti alla sofferenza e alla morte che stiamo toccando con mano in questa situazione di pandemia?” L’unica risposta sensata che mi sono dato è la seguente: “Con la Pasqua Dio ha già fatto tutto per noi, cambiando definitivamente il corso della storia, per il resto – tendenzialmente – non forza la mano per cambiare in un attimo i singoli eventi della storia”. Sì, perché risorgendo da morte Gesù ha dato orizzonte, senso al nostro amare, al nostro soffrire, al nostro gioire … al nostro morire, non lasciandoci in balia della morte. È il cuore della nostra fede che a Pasqua celebriamo, come ci ricorda san Paolo senza troppi giri di parole: “Ma se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,17.19). Basta sapere questo per rasserenarci e celebrare anche quest’anno la Pasqua con gioia? Probabilmente no. Perché sono i giorni, le settimane, i mesi in cui la nostra fede (e quindi la nostra vita) è chiamata a fare i conti col fatto che – come dicevamo – il Signore sembra non forzare la mano, non accelerare i tempi, per cambiare i singoli eventi di questa nostra storia, per portarci fuori da questa pandemia. E – a pensarci bene – non ha cambiato le cose nemmeno quando a chiederglielo è stato direttamente suo figlio Gesù. Tra le tante immagini che ci consegna la passione di Gesù ce n’è una che più di altre mi pare sia calzante con questo nostro tempo: è quella dell’agonia di Gesù al Getzemani. In quel frangente Gesù è un uomo solo, angosciato, impaurito davanti alla sofferenza e alla morte che gli si sono fatte prossime. Non siamo forse anche noi, oggi, in questo stato d’animo? Bene: davanti a tutto ciò cosa fa Gesù? Chiede al Padre di forzare la mano per cambiare quanto sta per accadere: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!” (Mt 26,39). E il Padre, in tutta risposta, tace. Nulla cambia. E davanti a questo silenzio di Dio, Gesù sceglie di affidarsi comunque e in questo affidarsi al Padre che tace ritrova quella serenità di fondo, quella pace del cuore con la quale attraverserà tutti gli eventi della sua passione. Quindi è sbagliato pregare perché chi sta bene continui a stare bene, perché chi sta male guarisca, perché tutto questo cessi al più presto? No, non è sbagliato; anche Gesù al Getzemani ha pregato perché qualcosa cambiasse, ma Gesù stesso ci ricorda che l’atteggiamento di fondo che siamo invitati ad avere verso il Signore è quello di affidarci. Un affidarci che parte – come mi ha scritto un caro amico prete – dal ricordarci che “più che un Dio tappabuchi tutto miracoli facili e a richiesta, il nostro è un Dio che piange per te e con te. Un Dio che piange (e, aggiungo io, che si fa sentire vicino a tutti coloro che in questo periodo stanno morendo lontano dagli affetti più cari)… credo e crederò sempre in un Dio così. Mi ostino a crederlo anche in questi giorni pesanti di dolore, di difficoltà psicologiche ed economiche”. È quanto ha fatto Gesù nell’orto degli ulivi: nonostante il silenzio, si è ostinato a credere che il Padre non lo stesse abbandonando e abbandonandosi al Padre ha ritrovato la pace. In seconda battuta, penso che affidarci voglia dire quanto diceva Etty nella seconda parte della frase citata all’inizio: avere un pezzo di Dio in noi stessi. Vi ritrovo, qui, la possibilità – ciascuno a partire da quella che è la sua concreta situazione oggi – di vivere relazioni segnate dalla gratuità, riflesso di quella gratuità nei nostri confronti che ha portato Gesù a morire e risorgere per noi. Penso così alle tante occasioni di essere gentili, buoni, attenti gli uni verso gli altri che in questo periodo comunque abbiamo; penso al perdonarci reciprocamente le mancanze quotidiane, al non arrenderci all’apatia e alla svogliatezza davanti a giorni che sembrano sempre uguali e sembrano non passare mai nella consapevolezza che il bene, il bello, il vero sono una conquista quotidiana per i quali è necessario esserci al meglio che possiamo, dove concretamente ci troviamo, con chi concretamente abbiamo intorno. Penso alla bellezza di trovare spazi di preghiera per stare con questo nostro Dio che non ci abbandona e che ci invita ad abbandonarci a Lui. Abbandoniamoci a Lui, è l’unico modo che conosco per poterlo percepire vicino e per poter vivere questa Pasqua non nella gioia, ma nella pace. Quella pace del cuore che è – non dimentichiamolo – il primo dono del risorto ai suoi amici: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”” (Giovanni 20,19) Concludo con un’ultima citazione di Etty Hillesum che in un’altra pagina del suo diario scrive così: “Se anche il più piccolo dettaglio della tua vita quotidiana non aspira a raggiungere l’armonia con le idee più elevate che tu condividi, significa che quelle idee non hanno senso”. Buona Pasqua e un abbraccio grande a tutti!! don Paolo